La sindaca di Genova Silvia Salis a TPI: “Il campo progressista unito può vincere ovunque”

“Meloni? Siamo lontane. Mi ispiro a Tina Anselmi. Ma la questione di genere è anche un tema economico. Bisogna tornare a parlare di tutela e qualità del lavoro e riabilitare i vecchi servizi sociali: all’infanzia, alla terza età e ai disabili”. L'ex atleta si racconta a TPI dopo aver restituito il capoluogo della Liguria alla sinistra e aver fatto aumentare l'affluenza alle urne del 7 per cento
«La politica è lo specchio del Paese, quindi quello che incontri in questo ambiente lo incontri nel resto della società, amplificato dal fatto che nella politica c’è una dimensione mediatica. Chiaramente se un amministratore delegato fa una battuta è un conto, se la fa un senatore è un altro. Niente di diverso da quello che ho incontrato nella mia vita in altri settori, in tutti gli altri settori, nessuno escluso». L’ex atleta che ha restituito il capoluogo della Liguria alla sinistra si racconta in un’intervista a tutto tondo a TPI.
Silvia Salis, sindaca o sindaco?
«Sindaca va benissimo, se possibile, però se qualcuno dice “sindaco” non mi offendo».
Considerando la vasta coalizione con cui si è presentata, ha mai temuto che le diverse forze in campo creassero delle problematiche che potessero farla perdere?
«Quando ho fatto il primo evento pubblico con Bonelli e Fratoianni ho subito detto che il mio obiettivo era vincere al primo turno. Era da poco iniziata la campagna elettorale. Ma ho sempre avuto la convinzione che sono poche le elezioni che il campo progressista può perdere».
A livello nazionale, delle battaglie che porta avanti la sinistra, quale sente più vicina alla sua sensibilità, qual è quella che condivide maggiormente?
«Sicuramente, secondo me, una cosa molto importante è tornare a parlare di lavoro, ma superare la contrapposizione tra lavoratori e impresa/industria, nel senso che bisogna tornare a parlare della tutela del lavoro, e trovare un nuovo modo di dialogare. In questo, anche sui referendum, mi sono espressa chiaramente; andrò a votare e voterò 5 sì. Inoltre bisogna insistere sul tema della qualità del lavoro, non basta solo che aumentano i posti di lavoro, bisogna vedere che tipo di lavoro è. Non basta dire sono aumentati i posti di lavoro, ma che tipo di qualità ha questo lavoro? Quali sono ad esempio le condizioni lavorative? Perché poi è come quando si dice che il tasso occupazionale femminile non è mai stato così alto in Italia, peccato che siamo ultimi in Europa però, quindi i numeri hanno un valore, vanno contestualizzati insieme ad altri parametri, e credo che in questo senso vada fatto un lavoro anche di presa di coscienza di dove siamo. Bisogna inoltre riabilitare i buoni vecchi “servizi sociali”, oggi si usano molti neologismi ma non perderei questo concetto, cioè i servizi all’infanzia, i servizi alla terza età, il sostegno alle persone con disabilità, questi sono i temi sui quali in Italia c’è bisogno di fare molto, considerare anche a tutta la questione legata alla sanità, questi sono sicuramente i temi che a livello nazionale sono più attuali».
A tal proposito, lo scorso 2 giugno Festa Della Repubblica, la premier Meloni ha dichiarato che andrà al seggio per i referendum ma non ritirerà la scheda. Di fatto è non votare. Lei come vede questo approccio da parte di una delle più alte cariche dello Stato?
«Penso che a livello delle istituzioni sia importantissimo non parlare mai di non andare alle urne, credo che sia anche un messaggio offensivo. Bisognerebbe trasmettere alle persone l’importanza di esprimersi sempre, in qualsiasi modo, nella cabina elettorale, perché non solo è un diritto, ma anche un dovere. Quindi dire “non andare a votare” la trovo una scelta sia tecnicamente che politicamente discutibile, tanto più in un Paese che è falcidiato dall’astensionismo. Abbiamo vissuto con grande soddisfazione il fatto che la nostra coalizione abbia fatto aumentare del 7 per cento l’affluenza alle urne rispetto alle ultime elezioni comunali, il 7 per cento è tanto. La maggioranza di governo può invitare a lasciare la scheda bianca, può invitare a votare 5 no, però non può invitare a non votare, essendo delle istituzioni di questo Paese. Non è un messaggio giusto. Bisognerebbe anche chiedere a chi fa gioco avere un Paese che non si esprime elettoralmente. E che non partecipa».
Ha avuto modo di fare un’analisi del voto e verificare la fascia generazionale o l’appartenenza politica dei suoi elettori?
«Dalle statistiche abbiamo rilevato che hanno votato più donne che uomini, questo è un dato che ci ha stupito, e credo che su questo vada fatta una riflessione, anche sulla questione dei modelli che si pongono in politica. Sempre in base a quanto rilevato dai sondaggi, abbiamo visto che tra i giovani c’è stato più interesse verso la mia candidatura. Ma è anche normale che sia più semplice suscitare interesse se si propone un modello politico più vicino alla fascia d’età. Per quanto riguarda le donne è un dato che mi ha fatto molto piacere ma voglio aggiungere una cosa. Non basta che arrivino loro alle posizioni rilevanti. Non serve se una volta arrivate si scordano di tutte quelle donne che ogni giorno fanno una fatica incredibile nel nostro Paese. Non solo una fatica incredibile a fare carriera, ma una gran fatica a portare avanti la quotidianità; donne che devono spesso scegliere di non lavorare, che devono scegliere di passare a un part time, questo si riflette sulle carriere, ma non solo, si riflette sulle pensioni, perché le donne che lavorano più a basso livello, o non lavorano, o fanno part time, sono donne che poi nella terza età saranno povere, perché avranno delle pensioni bassissime, e saranno sempre dipendenti economicamente dagli altri».
Lei è la dimostrazione del fatto che con delle buone idee, con la forza di volontà, con una buona squadra, si possono ottenere dei risultati anche essendo dei neofiti della politica. Secondo lei in Italia, c’è un problema di sessismo in Politica o è più una percezione che le donne hanno di loro stesse?Cioè di non riuscire a scavallare determinate dinamiche o sovrastrutture?
«La politica è lo specchio del Paese, quindi quello che incontri in questo ambiente lo incontri nel resto della società, amplificato dal fatto che nella politica c’è una dimensione mediatica. Chiaramente se un amministratore delegato fa una battuta è un conto, se la fa un senatore è un altro. Niente di diverso da quello che ho incontrato nella mia vita in altri settori, in tutti gli altri settori, nessuno escluso. Detto questo, poi bisogna in qualche modo fare il proprio percorso. Bisogna farlo nonostante – e qui è la differenza rispetto agli uomini – quello che ti trovi davanti. Una serie di difficoltà in più, oggettiva. E poi c’è anche il tema che le donne, essendo meno rappresentate ad alto livello, sono meno tutelate. Quindi anche questo è un tema sul quale bisogna lavorare. Aumentare la rappresentanza apicale femminile non vuol dire solo fare qualcosa di giusto, fare qualcosa di corretto nel 2025. Vuol dire dare una rappresentanza alle donne a tutti i livelli. È assurdo che quando si parla di diritti, questioni di genere, siano sempre le donne a parlarne. Io vorrei degli uomini che parlino di questa domanda, perché non si parla mai abbastanza del fatto che la questione di genere è anche un tema economico, oltre che sociale. Un Paese dove quasi una donna su due non lavora è un Paese che è povero, che va a metà della velocità alla quale potrebbe andare. Bisogna iniziare ad affrontare questo tema, anche con la pragmaticità del fatto che un Paese dove una donna non lavora, è un Paese che ha un problema economico».
Rimanendo in tema, Lei a che donna della politica sente di ispirarsi?
«Sicuramente Tina Anselmi è una figura che nell’immaginario politico, femminile, ha avuto un ruolo fondamentale, soprattutto in quello che io ritengo fondamentale cioè la doverosa laicità delle istituzioni, a prescindere dal proprio posizionamento personale. Io difendo il fatto di essere una persona con determinate caratteristiche – sono una donna, sposata, con un figlio, credente, con tutta una serie di caratteristiche – però le istituzioni devono essere laiche. Anche la riforma del diritto di famiglia del ’78, con la parità tra i coniugi, che è stata una vera e propria rivoluzione, riguarda il nome di Tina Anselmi».
Da quando è stata eletta, media nazionali e internazionali cercano sempre di paragonarla alla premier Meloni. Lei ha appena iniziato il suo mandato, quindi politicamente e amministrativamente si deve ancora esprimere, sente però che ci sono delle affinità o è solo un gioco mediatico?
« Innanzitutto sono sindaca di Genova e il mio mandato dura 5 anni, per cui mi sembra anche molto una forzatura fare questo tipo di accostamento. Nel senso che mi rendo conto che il campo progressista essendo all’opposizione ha bisogno di credere in questi risultati, ha bisogno di credere nelle persone, ma non ci sono solo io. C’è stato il caso della Todde, c’è stata tutta la questione umbra con Stefania Proietti. Sicuramente il fatto che io abbia detto con decisione fin dal primo giorno che avremmo voluto vincere, che questa coalizione avrebbe tenuto e il fatto poi di avere vinto ha creato una storia positiva che sta avendo risalto, però questo accostamento tra me e la premier non capisco su che temi venga fatto, anche perché mi sono espressa chiaramente su tutta una serie di domande che sono abbastanza lontane da lei».
Appare fin da subito una persona pragmatica, che tipo di sindaca sente che vorrà essere? Lei ha ribadito che vuole tenersi lontana dalle derive ideologiche che alle volte allontanano la sinistra dagli obiettivi. In più esistono per i sindaci degli ostacoli burocratici che vi legano un po’ le mani…
«Ci saranno chiaramente degli aspetti, come lei dice, che sono legati alla burocrazia e ai tempi e ai modi della macchina pubblica. E su quelli chiaramente non c’è molto da fare. Ricordando che ogni sindaco ha una squadra al proprio fianco, sarò comunque una sindaca che si assume la responsabilità delle cose e fa anche delle scelte coraggiose come richiede il governo di una città complessa come Genova. Il messaggio che ho voluto dare fin da subito, sia dover sia internamente alla coalizione, è che essere all’opposizione e poi invece governare una città implica due atteggiamenti completamente diversi, nel senso che poi governare ti obbliga al pragmatismo della decisione e mi fa piacere avere intorno persone che la pensano come me su questo perché è l’unico modo per mandare avanti una città».
Scendendo nel merito del governo della città, quali sono ora le priorità per Genova?
«Sicuramente concludere le infrastrutture di collegamento, abbiamo tanti cantieri aperti, compresa la diga che è un grandissimo progetto a livello nazionale. Questi vanno conclusi e Genova deve iniziare a trarne il beneficio dopo i tanti disagi che hanno portato alla città. Poi c’è un grandissimo tema che è il centro della nostra operazione che è il decentramento amministrativo, ossia dare possibilità ai municipi di avere capacità di azione su tutto il territorio, quindi anche sulle zone che non sono centrali. C’è chiaramente il tema del lavoro, abbiamo già parlato del fatto che introdurremo un salario minimo per gli appalti comunali, sull’esempio di quello che è successo già a Firenze. Ci sono poi i grandi temi comuni alle grandi città come quello dei trasporti, dei rifiuti. Dopo più di 20 anni ci sarà un nuovo piano regolatore portuale e dovrà essere fatto anche un nuovo piano urbanistico comunale, quindi saranno anni di grande rivoluzione per la città. Bisogna tornare a guardare a quella che è la vita delle persone al di là delle grandi opere e assicuro che le condizioni delle persone e il loro percepito della macchina comunale non è assolutamente quello che si vuole far vedere, detto questo ovviamente serve uno sviluppo turistico, serve una proposta culturale. Che Genova e la Liguria per anni non hanno avuto un vero assessorato alla Cultura ma c’è stata solo una delega tenuta dal presidente Toti e poi dal sindaco Bucci, quindi servire ritornare a parlare di cultura, una cultura che sia anche coraggiosa, che sia una proposta che riesca ad attrarre sia a livello nazionale che internazionale un turismo che possa lasciare sul territorio un po’ di più».
C’è anche un tema sicurezza in città, specie nel centro storico, busserà al ministero dell’interno o ha già in mente un piano d’azione?
«Per quanto riguarda la sicurezza verranno portate avanti le pratiche che funzionano, su altre cose abbiamo ovviamente delle idee diverse ma io credo che la sinistra abbia sempre un po’ sbagliato a svendere questo argomento alla destra, cioè la sicurezza l’abbiamo fatta diventare un argomento di destra ed è sbagliato. Bisogna tornare a parlare di sicurezza senza paura, una sicurezza che ovviamente non è solo repressione o militarizzazione o ordinanze, ma che parli di presidi sociali, che si occupa di tutto ciò che concorre a creare sicurezza. Siamo grati sia alle forze di polizia che alla polizia locale, ma bisogna fare anche un altro lavoro».