Giovanni Minoli a TPI: “Siamo passati dal Noi all’Io”

“Nel 1986 intervistai Netanyahu. Disse che il terrorismo è attaccare innocenti civili per motivi politici. Eppure oggi Israele fa esattamente questo. Il mondo è alla ricerca di un nuovo assetto globale. Ma in Occidente abbiamo perso Dio: dopo la fine delle ideologie, ci è rimasto solo il denaro. Non può bastare”
Minoli, esistono oggi in Italia editori liberi?
«Editori liberi è un parolone. Cosa intende per editori liberi?».
Rivedendo una celebre intervista che lei fece a Netanyahu a metà degli anni Ottanta, viene da dire che nessuno oggi in Italia fa le domande che quel giovane Minoli faceva, senza particolari sconti. Sbaglio?
«La Rai era un luogo di eccellenza assoluto. È stata raccontata al contrario di com’era, come il luogo della lottizzazione…».
E non è così?
«Oggi è tutto diverso. Ma negli anni Settanta, Ottanta e anche Novanta – finché ci sono state le tre reti che si facevano concorrenza fra loro – cattolici, socialisti e comunisti mandavano in Rai i migliori della rispettiva area. C’erano, sì, alcuni raccomandati di scarso valore, ma non erano la prevalenza».
Poi cosa si è rotto?
«Si è rotta l’Italia. Quando è caduto il Muro di Berlino, quel modello non serviva più. Oggi non c’è una cultura perché non c’è un sistema di valori che produca una classe dirigente. Prendiamo il caso Tangentopoli: la democrazia dei partiti ha garantito per molti anni la realizzazione della democrazia, ma quanto costava? Facciamo 100. Bene, a fronte di una legge che finanziava la politica per 50, gli altri 50 bisognava trovarli. Allora ecco che alcuni sono andati a trovarli in Russia, altri in America e altri ancora – i socialisti – nelle aziende. Quando Bettino Craxi disse “Il nostro è un sistema fondato sul l’illegalità” disse la verità. Una volta crollato quel sistema fondato su precisi sistemi di valore, il livello della classe dirigente è precipitato».
Anche al governo c’è una classe dirigente non all’altezza?
«Meloni è brava, ma è sola. L’unico partito-partito che c’è, l’unico dotato ancora di una struttura partitica, è Fratelli d’Italia, che tuttavia ha una classe dirigente formata per vincere le elezioni ma non ancora per governare. Le competenze non sono ancora un vero valore. La Lega ha amministrato di più, ha degli amministratori più validi. Vede, il punto è che, con la globalizzazione, la finanza ha quasi bypassato la politica. E la finanza la si gestisce direttamente con i media. Così i media, da strumento di dibattito politico, sono diventati uno strumento di confronto di opinioni degli opinionisti. Aria fritta totale, perché, appunto, la finanza non ha più bisogno della politica. L’Occidente, del resto, ha fatto diversi esperimenti in Italia…».
Ovvero?
«L’Italia ha sperimentato Silvio Berlusconi in previsione di un nuovo equilibrio che bisognava trovare dopo la caduta del Muro. Berlusconi è stato un genio, un amico, gli ho voluto bene. Mi ha offerto molte volte di andare a lavorare per lui, ma io non ci sono mai andato: sa perché? Perché sono contro il conflitto di interessi. Perché la democrazia dei partiti non può convivere con un sistema in cui c’è uno che fa la boxe con tutte e due le mani contro uno che ha una mano legata…Berlusconi è stato il primo simbolo della commistione definitiva tra politica, affari e informazione».
Ed esiste ancora questa commistione?
«Ormai i giornali sono in prevalenza degli “house organ” di chi porta avanti i propri interessi economici finanziari e politici».
Torniamo a Netanyahu per piombare nell’attualità. Lei lo intervista nel 1986, quando era ambasciatore di Israele alle Nazioni Unite e vice-ambasciatore israeliano negli Usa. «Il terrorismo – disse Netanyahu – è il deliberato e sistematico attacco contro persone innocenti civili per motivi politici». Ma non è la stessa cosa che Israele sta mettendo in atto?
«Assolutamente sì. L’8 ottobre 2023, all’indomani del raid di Hamas, dissi che Netanyahu stava sbagliando: avrebbe dovuto fare qualcosa di simile a quel che fece Alfred Hitchcock quando i sovietici entrarono a Bergen Belsen: un filmato fantastico per raccontare il massacro di Hamas. Avrebbe dovuto distribuirlo a tutte le televisioni del mondo per una settimana. Per creare un’emozione collettiva pazzesca a favore non della vendetta, ma della giustizia, non dell’uccisione di tutti di tutti gli arabi, ma del rilascio di tutti gli ostaggi. E invece a Netanyahu non interessa niente degli ostaggi. Ogni tanto, quando gli serve, li cita, ma lui fin da subito ha detto che voleva vendicarsi».
Mi ha colpito che in quell’intervista Netanyahu parlava dell’Olp di Arafat in modo molto simile a come oggi si parla di Hamas. Hamas sarebbe stata fondata anni dopo, vero, ma già allora si finanziavano gruppi islamici per indebolire il fronte palestinese laico. Proprio come oggi si finanziano pezzi di Isis e Jihad islamica.
«È un cane che si morde la coda. Anche gli estremismi terroristici italiani erano finanziati dalla Cia. Cosa voglio dire? Che è sempre il potere “potente” che finanza gli estremismi».
Come mai dunque oggi si fa così tanto fatica a condannare le azioni di Israele?
«Perché pochi, su questi temi, hanno le idee chiare. Vede, quando io intervistai Netanyahu, avevo le idee chiare. Ho fatto le domande vere, facevo il giornalista, studiavo, mi preparavo, non avevo paura di nessuno. I giornalisti di oggi bisogna capire dove tengono la coda. Alla fine chi dà l’input finale?».
Chi sono oggi, secondo Minoli, i più autorevoli giornalisti oggi in Italia?
(Riflette). «Antonio Polito…è uno di questi».
Allora forse Paolo Mieli?
«Lo trovo più competente che autorevole: è molto bravo a teorizzare a posteriori. Non a caso ha fatto indistintamente il direttore del Corriere della Sera, di Lotta Continua o dei giornali degli Agnelli».
Lei, Minoli, ha eredi?
«Faccia lei, dipende dai gusti…».
Esiste oggi quella che alcuni definiscono una sorta di “scorta mediatica” rispetto all’attività di Israele?
«È abbastanza evidente».
E come se lo spiega?
«I media, nella storia dell’Occidente, sono stati quasi sempre un fortissimo fortilizio della cultura ebraica. Perché gli ebrei sono i più intelligenti, i più formati e i più consapevoli dell’importanza dei media nella formazione dell’opinione delle persone».
Eppure Israele spesso accusa i media di alimentare il terrorismo.
«Questo è vero in parte. Quando l’egemonia mediatica globale delle televisioni non è stata più appannaggio solo degli americani e degli inglesi, sono nate emittenti come Al Jazeera, Al Arabiya… Si è creata una televisione dell’altra parte del mondo, che vede le cose in un altro modo…».
E in Italia?
«In Italia il rapporto tra coloro che studiano e l’uscita mediatica è una piramide rovesciata, per cui la voce di Albra Parietti vale quanto quella del professore di Harvard, sulla base della teoria che “un’opinione è un’opinione”. Sta tutto nel passaggio da Noi all’Io: questa disintermediazione è figlia anche del crollo delle ideologie, delle scuole di pensiero…».
L’Onu, intanto, viene costantemente delegittimata. A dispetto di quanto riconosciuto dalle Nazioni Unite nel 1974, molte parti ancora rifiutano di considerare legittima la lotta dei palestinesi. E d’altra parte, sebbene l’Agenzia Onu per l’Energia atomica abbia detto che non esistono prove che Teheran fosse vicina all’arma nucleare, Israele prima e gli Usa poi hanno bombardato l’Iran. Non vede una sorta di doppio standard?
«È stato Palmiro Togliatti ad aver insegnato la doppia morale come regola di comportamento nella vita e nella politica. Ma un principio analogo vige anche nella cultura cattolica: ti confessi e poi va tutto bene…».
Quindi dobbiamo andare dietro agli Stati Uniti?
«Sinceramente, non lo so. Nessuno lo sa. Trump disse che avrebbe risolto la guerra in Ucraina in 24 ore e non è andata così. Anzi, con lui sono arrivate nuove guerre. Ma una cosa Trump l’ha fatta: ha costretto tutti a gettare la maschera dell’ipocrisia. Addirittura forse adesso perfino l’Europa è costretta a rinascere. La Germania si riarma. Pensi se glielo avessero detto dieci anni fa…».
Come se ne esce?
«Il mondo in questo momento è alla ricerca di una nuova Yalta, di un assetto globale che dia delle regole in cui tutti i popoli e tutti i governi possano riconoscersi. Ed è una guerra di posizione, un fantastico risiko, ma pericolosissimo, perché può sempre scappare l’acceleratore. Caduto il mondo di Berlino, si è pensato che il mondo fosse unidimensionale, cioè che ci fossero gli americani e basta. Ma il fatto è che gli americani non sono capaci….».
A far cosa?
«Adesso le dico una cosa che può sembrare rivoluzionaria: gli americani non sono imperialisti. Non sono capaci, perché non capiscono le culture differenti dalle loro. Barack Obama che va fare il discorso dell’esportazione della democrazia all’università de Il Cairo non capisce che lì c’è gente che arriva da una cultura millenaria, che quei problemi è abituata a risolverli in tutt’altro modo. Non è che arrivi tu e dici loro “Facciamo la democrazia” ed è fatta. Anche Trump un po’ è così: è abituato a trattare, ma non ha capito che la logica mercantile non può determinare tutto. Determina molto, ci sono delle fasi in cui determina tantissimo, ma chi ha alle spalle la storia di un impero ha nelle proprie vene le tracce di quell’impero. Mi ha fatto venire in mente un episodio».
Racconti.
«Quando nel 2006 andai a intervistare Gheddafi, lui mi disse “Lei si ricorda la storia del cavallo di Troia? Voi volete tanto la Turchia in Europa. Bene, allora sappiate che la Turchia sarà al vostro cavallo di Troia: in Turchia c’è la radice più profonda del fondamentalismo islamico e voi volete portarvelo in casa. Auguri”. Disse proprio così».
Questo racconto mi ha fatto venire in mente che, oggi, Israele sembra dividere il mondo in due. Da una parte, il blocco occidentale democratico e civile; dall’altra, il blocco orientale che, in quell’intervista con lei, Netanyahu definì come il risultato dell’unione tra radicalismo comunista e fondamentalismo islamico, l’asse internazionale terrorista da cui guardarsi bene…
«Bisognerebbe prima riuscire a definire i valori dell’Occidente, perché si sono molto squagliati… Torno a quel che accennavo prima: il passaggio dal Noi all’Io. In Occidente abbiamo perso Dio: se tu apri il tabernacolo, dentro ci trovi solo il dollaro. Quanto all’Islam, l’Islam non è studiato. Ed è vero che c’è chi lo teme strumentalizzandolo e chi invece lo esalta giustificandolo come incompreso. Quando tu non studi una cosa, quella cosa ti fa paura. Uno fra i miei più grandi amici, Pietrangelo Buttafuoco (musulmano, ndr), che è forse l’intellettuale numero uno in Italia, la persona culturalmente, umanamente e moralmente più tollerante che conosco, ha delle idee, ha un sistema di valori di riferimento. Noi in Occidente, avendo perso il cristianesimo, siamo rimasti con solo il mercato. L’unico nostro Dio è il dollaro, ma è troppo poco. Dentro il dollaro non riescono a stare tutte le esigenze dell’uomo».